Contratto di rioccupazione di cosa si tratta?

Il contratto di rioccupazione, previsto dal decreto Sostegni bis, che al momento non ha una natura strutturale (la sua operatività termina infatti il 31 ottobre 2021). è di natura subordinata ed a tempo indeterminato ed è finalizzato ad incentivare, con uno sgravio contributivo totale, l’occupazione dei lavoratori nella fase successiva al superamento della pandemia. Destinatari sono i lavoratori, disoccupati, che hanno offerto la propria disponibilità ad essere inseriti nel mondo del lavoro.

Una nuova tipologia contrattuale si affaccia nel nostro ordinamento: il contratto di rioccupazione, è previsto dall’art. 41 del decreto legge 25 maggio 2021, n. 73, c.d. decreto Sostegni bis.

Il contratto di rioccupazione è di natura subordinata ed a tempo indeterminato ed è finalizzato ad incentivare l’occupazione dei lavoratori nella fase successiva al superamento della pandemia: destinatari, sono i soggetti, disoccupati, che hanno offerto la propria disponibilità ad essere inseriti nel mondo del lavoro secondo la previsione dell’art. 19 del D.L.vo n. 150/2015.

Tale tipologia contrattuale deve essere accompagnata da un progetto individuale di inserimento di durata semestrale, concordato tra le parti, finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze professionali. Qui, l’estensore della norma ha ripreso, per la formazione, un concetto già presente nel vecchio contratto di inserimento, istituito dal D.L.vo n. 276/2003 ed abrogato dalla legge n. 92/2012 e, rispetto al quale, le parole relative al progetto di inserimento, appaiono essere le stesse inserite nell’accordo interconfederale dell’11 febbraio 2004, propedeutico a tale ultima tipologia contrattuale.

Sanzioni per il licenziamento illegittimo

Durante l’espletamento della fase normativa, ricorda il Legislatore, valgono le regole sul licenziamento illegittimo: quindi, piena applicazione delle disposizioni contenute negli articoli 2 e 3 del D.L.vo n. 23/2015 che, a seconda della gravità, possono portare alla reintegra (ad esempio, in caso di licenziamento della donna nel “periodo protetto” o nell’ipotesi di un recesso determinato da un comportamento datoriale discriminatorio o ritorsivo) o alla corresponsione di una indennità risarcitoria sul cui importo il giudice può integrare il criterio dell’anzianità aziendale (scarsa) con quelli previsti dall’art. 8 della legge n. 604/1966, secondo le indicazioni fornite dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 194/2018.

Limiti di operatività

Ma, entro quale data è possibile stipulare contratti di rioccupazione?

Il periodo va dalla data di entrata in vigore del decreto legge (26 maggio 2021) fino al 31 ottobre 2021, da intendersi, alla luce di chiarimenti amministrativi dettati in precedenza per altri istituti (v. INL n. n. 713 del 16 settembre 2020 in relazione alle deroghe per proroghe e rinnovi relative ai contratti a termine) come giorno di instaurazione del rapporto.

Risoluzione del rapporto di lavoro

Il contratto di rioccupazione offre la possibilità alle parti di risolvere il rapporto alla scadenza dei 6 mesi, come nell’apprendistato, esercitando la previsione dell’art. 2118 c.c.: durante il preavviso continua ad applicarsi la medesima disciplina e, se nessuna recede dal rapporto, quest’ultimo continua a tempo indeterminato. Ovviamente, durante tutto il periodo di inserimento, trovano applicazione le regole relative al contratto a tempo indeterminato con applicazione integrale degli istituti previsti sia dalla legge che dalla contrattazione collettiva.

Va particolarmente sottolineato che se datore recede dal rapporto al termine del semestre incentivato, l’INPS è abilitato a recuperare lo sgravio riconosciuto.

Ambito di applicazione

Ma chi sono i datori di lavoro che possono stipulare i contratti di rioccupazione?

La norma si riferisce ai datori di lavoro privati (quindi, imprenditori e non imprenditori), con esclusione di quelli dei settori agricolo e domestico: probabilmente mentre potrebbero essere escluse, in analogia con precedenti determinazioni, le Banche e le Compagnie di Assicurazione, per le quali sussiste un ostacolo derivante dalla Commissione Europea, in quanto come imprese finanziarie, svolgono le attività indicate dalla classificazione NACE, settore K. Non rientrano tra i beneficiari le Pubbliche Amministrazioni.

Agevolazioni contributive

Ma, quali sono le agevolazioni previste in favore dei datori di lavoro?

Si tratta di un esonero contributivo pari al 100% della contribuzione a carico del datore di lavoro per un massimo di sei mesi, nel limite di importo pari a 6.000 euro su base annua, riparametrato ed applicato su base mensile, ferma restando l’aliquota di compito delle prestazioni pensionistiche. Da tali importi sono esclusi i premi ed i contributi dovuti all’INAIL e, seguendo le indicazioni espresse dall’INPS in circostanze analoghe (che andranno confermate dall’Istituto), anche la c.d. contribuzione minore, per cui questa dovrebbe essere l’elencazione completa della contribuzione che va corrisposta:

L’erogazione delle agevolazioni resta sottoposta al rispetto sia dell’art. 1, comma 1175, della legge n. 296/2006 che dell’art. 31 del D.L. vo n. 150/2015.

Ulteriori vincoli vengono previsti dalla norma laddove esclude dal beneficio i datori di lavoro che:

Abbiano proceduto a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della legge n. 604/1966, nei sei mesi antecedenti, nella stessa unità produttiva: qui la disposizione parla di licenziamenti “tout court”, senza specificare un riferimento alle stesse mansioni o livello. Ovviamente, non rientrano nel “blocco” le dimissioni e le risoluzioni consensuali, avvenute, magari, a seguito, di accordi collettivi stipulati, da ultimo, secondo le indicazioni fornite dal D.L. n. 41/2011 convertito, con modificazioni, nella legge n. 69, ma anche i licenziamenti dovuti a giusta causa o giustificato motivo soggettivo;

Revoca e cumulabilità del beneficio contributivo

L’articolato prosegue, poi, con due notazioni importanti: la prima concerne la revoca del beneficio nei confronti del datore di lavoro inottemperante che non ha effetti ai fini del godimento per il periodo residuo in favore di altri datori che assumono con il contratto di rioccupazione (ciò significa che resta confermato il principio del “godimento residuo” alla base di altre agevolazioni già previste nel nostro ordinamento come, ad esempio, l’esonero triennale già previsto dalla legge n. 190/2015).

La seconda riguarda le dimissioni del lavoratore: esse non incidono sul beneficio in favore del datore che viene, comunque, riconosciuto per il periodo di effettiva durata del rapporto. La norma parla, unicamente, di dimissioni mentre non dice nulla circa l’ipotesi della risoluzione consensuale. Si ha motivo di ritenere, stando al dettato letterale, che l’agevolazione possa essere revocata, stante la presenza di una volontà datoriale, seppure analoga a quella del dipendente, finalizzata alla conclusione “ante tempus” del contratto.

Altra notazione importante riguarda la cumulabilità dell’incentivo: essa, per il periodo di durata del rapporto dopo il semestre agevolato, è prevista calcolando gli esoneri contributivi previsti a legislazione vigente previsti da altre agevolazioni (e qui, occorre far riferimento a ciò che affermano le disposizioni ai singoli benefici richiamati), fermo restando che in caso di cessazione del rapporto al termine del semestre, lo sgravio contributivo viene recuperato.

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