L’art. 1, comma 40 della L. n. 92/2012 (che modifica radicalmente l’art. 7 della L. n. 604/1966 ed è applicabile ai lavoratori assunti prima del 15 marzo 2015) prevede la procedimentalizzazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il quale viene preceduto da un tentativo di conciliazione tra le parti avanti alla commissione provinciale del lavoro e intimato in caso di esito negativo dello stesso (o se sia scaduto il termine perentorio stabilito dalla legge). Nel caso esaminato dalla Corte, in cui, dopo il mancato accordo, la società aveva confermato la volontà di licenziare la propria dipendente e la Commissione aveva dato atto del mancato accordo nel verbale, la lavoratrice aveva sostenuto in giudizio la nullità del licenziamento, che avrebbe dovuto seguire per iscritto e non precedere la chiusura del verbale di mancata conciliazione. La tesi difensiva è respinta dalla Corte, la quale nega che la legge richieda la separazione temporale tra il verbale di conciliazione e il licenziamento e rileva che quest’ultimo, correttamente intimato dopo il mancato accordo e prima della dichiarazione di chiusura, possiede anche i requisiti di forma necessari, essendo stato sottoscritto da ambedue le parti, in un contesto di piena garanzia della genuinità della loro volontà.
Così si è pronunciata la Corte di Cassazione con ordinanza del 22 aprile 2024 n. 10805